Banche sui social: opportunità o tranello?

banche sui social

“Se non sei su Facebook, non esisti”. Questo è il ritornello che, negli ultimi anni, si è fatto strada ovunque. Tra gli amici, tra locali e ristoranti, tra gruppi musicali e gallerie d’arte, tra brand emergenti e multinazionali consolidate fino ad arrivare anche agli istituti di credito e alle banche. Ebbene sì, le banche sui social ci sono e, spesso, utilizzano questi canali nell’ottica di una comunicazione disintermediata con il loro cliente. Ma è davvero efficace? Vediamo come si comportano le banche sui social e il caso, clamoroso, di Unicredit che lo scorso maggio ha chiuso gli account Facebook e Instagram.

Cosa fanno le banche sui social?

Il contesto è quello di una globale digitalizzazione del rapporto tra cliente e istituto bancario. L’home banking è ormai realtà, così come sono consolidate ormai le partnership di molte banche con servizi di scambio di denaro online da Apple Pay fino a PayPal o Satispay, che ha stabilito anche accordi con alcune banche che prevedono un buono di cashback per i clienti che si iscrivono. Sempre più fondamentali sono anche le app per smartphone che stanno, velocemente, mandando in pensione strumenti che diventeranno presto obsoleti come i token. 

I social e, in particolare, Facebook, Twitter e Instagram sono parte di questo processo e, come fotografa l’Associazione Bancaria Italiana (Abi), sono parte di una strategia globale. Molto interessanti i dati dell’Osservatorio Abi Social & Web relativi al 2018: più di nove banche su dieci, infatti, hanno dichiarato di essere presenti su almeno un social. 

Diversi gli obiettivi:

  1. customer care,
  2. analisi e raccolta dati,
  3. campagne promozionali,
  4. brand reputation,
  5. sostegno dell’educazione finanziaria.

Contenuti virali e sondaggi per coinvolgere gli utenti

La maggior parte delle banche coinvolte nell’indagine (58%) aggiorna i canali più di una volta al giorno e pubblica contenuti di vario genere. I social vengono utilizzati per valorizzare le iniziative sostenute sul territorio, per raccontare le attività svolte con i propri partner, ma anche promuovere i prodotti e servizi della banca stessa. 

Non manca una certa attenzione al coinvolgimento degli utenti/clienti/follower. Gli strumenti preferiti sono sondaggi, concorsi, contenuti visual, copy persuasivi e l’obiettivo di instaurare un dialogo è ottenuto tant’è che l’83% delle banche coinvolte sostiene di comunicare quotidianamente con gli utenti sui social.

Il futuro? Customer care e recruitment

Guardando al futuro, le banche italiane sostengono che i social continueranno ad essere uno strumento imprescindibile nella strategia di marketing a sostegno del business. In particolare, un primo obiettivo è proseguire sulla strada di una migliore customer experience per l’utente che senta di avere la propria banca sempre a fianco.

Un secondo trend già emerso, secondo Abi, è quello dell’utilizzo dei social in ottica di recruitment. Il riferimento è, naturalmente, all’Employee Brand Advocacy e a  LinkedIn  dove anche le banche possono iniziare a muoversi elaborando una strategia di ricerca attiva di talenti da coinvolgere nella propria attività offline in ottica di crescita.

Il caso UniCredit: chiusi Facebook, Messenger e Instagram

Se l’indagine di Abi fotografa una situazione nella quale le banche italiane hanno chiare le idee e le finalità della propria presenza sui social, va controtendenza il colosso Unicredit che, il 1° giugno scorso, ha chiuso i propri account su Facebook e le controllate Messenger Instagram. 

unicredit lascia i social

Molto chiaro il messaggio lanciato dalla banca: “valorizzare canali digitali proprietari  per garantire un dialogo riservato e di alta qualità”. L’obiettivo è, quindi, proseguire la strategia di disintermediazione e dialogo direttamente con i propri clienti, ma non sui social controllati da Mark Zuckerberg. 

Le ragioni, sottolineate da esperti di marketing, sono probabilmente nascoste dietro all’idea di un “dialogo riservato”. I vertici di Unicredit, che ha lasciato Facebook ma non Twitter e LinkedIn, hanno dimostrato di non avere fiducia nei confronti del social di Zuckerberg. Conseguenza dello scandalo Cambridge Analytica? Possibile dal momento che il gruppo con sede a Milano aveva già in precedenza sospeso gli investimenti pubblicitari su questi canali e sollevato dubbi sulla gestione dei dati dei clienti raccolti.

Ulteriore ombra è rappresentata dall’idea, lanciata più volte da Facebook, di creare una propria banca che si troverebbe a disposizione una banca (è proprio il caso di dirlo) di dati ricca e preziosa, grazie alle informazione condivise dai competitor nel corso degli anni. Meglio continuare la digitalizzazione, dunque, ma su canali riservati e, quindi, più controllati. 

L’esperienza dell’Unicredit pone al centro la questione della tutela dei dati personali, fondamentale quando si parla di informazioni sensibili e internet. Tuttavia, dal punto di vista del marketing, resta da chiedersi quale sarà l’effettivo contraccolpo di smettere di presidiare i canali più frequentati dalle persone. È presto per tirare le somme, ma gli esperti non hanno dubbi: altre banche seguiranno la strada tracciata da Unicredit e, a quel punto, sarà ancor più interessante osservare la strada che prenderanno. 

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