Digital e social media communication: intervista a Francesco Barone

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Il mondo delle start up è estremamente stimolante, ma al contempo frenetico e rischioso. Nonostante la grande scommessa insita in questo modello di business, c’è chi sceglie di dedicarvisi completamente ed esclusivamente, come il CEO di GoOut Francesco Barone. Da sales di Spotlime, un’app di eventi fondata nel 2013 dall’azienda, ha avviato l’agenzia di digital communication Piano Social nel 2019, dopo essere diventato CEO.

Abbiamo chiesto a Francesco di raccontarci il percorso di GoOut e, in particolare, di spiegarci quali strategie di comunicazione digitale funzionano universalmente e in questo particolare momento storico.

Il Team e i nostri Social Media Manager - Piano Social

Dall’esclusiva gestione di un’app per eventi alla creazione ex novo di un’agenzia di digital communication…

“La vita di una start up è basata su un forte commitment, ciò significa che per riuscire a sostenere i ritmi di questo tipo di imprenditorialità bisogna avere una notevole dedizione al progetto, che può essere messa a dura prova da cambi di prospettiva repentini e modifiche al business plan.

Il rischio principale è quello di rimanere incastrato nel «gioco dei sogni»: quando una start up non funziona, bisogna essere in grado di capirlo e voltare pagina. Se, ad esempio, il mercato c’è e l’azienda non prende il largo, serve la lucidità necessaria a capire verso quale direzione andare.

In questo panorama, Spotlime ha avuto tanti successi e un ottimo seguito, ma dava spazio ad altre opportunità, che ho scelto di cogliere e coltivare. Non ero il founder, ero un commerciale che girava per locali, a contatto diretto con i clienti. Ho sfruttato il patrimonio di conoscenze e contatti che avevo accumulato nel tempo per capire che le necessità stavano cambiando: «come funzionano Facebook e Instagram?». La lampadina si è accesa ed è iniziato il cambiamento.

Da «Stay Focused» siamo passati a «We can do it» e abbiamo allargato il business: abbiamo provato a fare il cosiddetto pivot”.

Quali sono le competenze essenziali per fare comunicazione digitale?

“Avere attitudine allo studio, un’infarinatura generale di informatica o capire come funziona il mondo del digitale sono competenze che aiutano, ma non posso dire che bastino.

Per essere un professionista della digital communication, la competenza essenziale è avere passione. Il digitale è un settore che tende a innovarsi ogni giorno e la passione è quello che spinge ad aggiornarsi costantemente.

C’è una ricerca spasmodica, quasi ossessiva, per migliorare il proprio prodotto, che costringe il professionista del digitale a studiare giorno e notte. Ci sono molti strumenti che si devono utilizzare, partendo dai social media e finendo con i motori di ricerca, passando per siti e-commerce, linguaggi di programmazione”.

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Quali sono le figure del vostro team?

“Nella fase di sviluppo e lancio di un nuovo brand, la cosa più importante è la creazione del team. Le risorse che lavorano sulle start up sono le migliori, perché hanno spirito di adattamento e una dinamicità che consente di fare qualsiasi cosa: questo è stato proprio il nostro punto di partenza.

Successivamente, la scelta è stata creare dei verticali, capire quale fosse il focus. «Come si fa la gestione dei social? Cosa serve per gestire i social?» sono state le domande sulle quali ci siamo basati per selezionare le figure professionali che compongono il nostro team.

I social sono fatti di testi ed immagini, dunque servono content editor e grafici, ma sono fatti anche di numeri, quindi servono ingegneri. Se si mettono insieme immagini, testi e numeri, si trova la chiave di Volta per fare un’ottima società di gestione e consulenza social media”.

Andiamo sul pratico: quali sono le digital strategies adatte ad incrementare la brand awareness online?

“Posso dirti che la brand awareness e la lead generation non hanno una ricetta perfetta. L’unica cosa che possiamo fare è un ragionamento legato ai target, perciò all’audience di riferimento e agli strumenti che sono più utilizzati da quell’audience. Per quanto riguarda gli strumenti più indicati per fare brand awareness, la risposta è «tutti», perché l’omni-canalità della comunicazione serve soprattutto nel digitale.

Ad esempio, oggi la presenza online di un’attività non può prescindere da Facebook, Linkedin, Instagram e Google Ads, mentre forse i canali meno interessanti perché più di nicchia sono Twitter e Pinterest”.

E gli errori più frequenti?

“L’errore più frequente è puntare al digital marketing e provarci solo per 15 giorni: serve pazienza. Il periodo ideale per testare una strategia di comunicazione digitale è di almeno tre mesi: solo così è possibile capire se si sta andando nella direzione giusta o se ci sia bisogno di aggiustare il tiro.

Un altro errore è quello di voler «fare qualcosa su internet» senza conoscerne le dinamiche o essendo a digiuno di social, ma soprattutto senza lasciare il tempo di impostare una strategia mirata e sensata”.

Qual è stato l’impatto della pandemia sul digital marketing?

“L’impatto della pandemia sul digital marketing è stato terribile: la comunicazione è vista come un servizio «sacrificabile» nel momento di crisi, ma è proprio in questi momenti che la comunicazione è fondamentale.

Come tutti, anche noi nel mese di marzo abbiamo sofferto. Tanti nostri clienti hanno interrotto i contratti, ma abbiamo scelto di proseguire gratuitamente la gestione dei loro profili social per non interrompere la comunicazione, che sarà indispensabile quando riprenderà il business“.

Quali sono state le alterazioni più consistenti dei trend pre-quarantena?

“Sicuramente tra il periodo pre-quarantena e quarantena c’è stato un grande incremento dell’utilizzo degli strumenti per fare video conferenze e permettere lo smart working.

Piattaforme come Zoom, Skype, Whereby e molte altre consentono di fare riunioni con chiunque rimanendo a casa propria. Nonostante questo, ancora oggi molti pensano che sia meglio prendere un treno la mattina per arrivare a Roma e tornare a Milano. Siamo stati abituati così e ci vuole del tempo per cambiare.

Il resto è stato solo accelerato e implementato: è stato accelerato il trend degli e-commerce, dei video su Youtube, di interazione sui social, ma non credo che i bisogni delle persone siano cambiati”.

Quanto è importante la presenza online in questo contesto di emergenza sanitaria?

“In questo momento di emergenza sanitaria la comunicazione è la cosa più importante. E’ l’unico mezzo che mette in contatto consumatore, azienda e fornitore ed è l’unica base su cui non bisogna avere dubbi per quanto riguarda l’investimento.

Bisogna fare le cose in grande e bene, perché facendo un buon piano di digital marketing è più semplice arrivare a tutto il mondo. Quindi, anche in tempo di Coronavirus forse ci sono delle possibilità, come in qualsiasi periodo di cambiamento”.

Ci sono contenuti, strategie o comportamenti che bisogna evitare in questo particolare momento storico?

“In questo momento bisogna evitare lo sciacallaggio facendo leva sulla paura delle persone. Anche se si vendono mascherine, non c’è bisogno di dire che «sei vuoi salvarti la vita hai bisogno delle mascherine»: si può semplicemente comunicare che «per una tua maggiore sicurezza, una mascherina è necessaria».

E’ qui che la comunicazione può insegnare qualcosa in un contesto probabilmente internazionale, che ha dimenticato come avere attenzione al sociale un po’ diversa”.

La riapertura delle attività commerciali è un periodo che bisognerà sfruttare anche attraverso la presenza online?

“E’ vero, ma non sappiamo se ci sarà un secondo picco, se le abitudini dei consumatori cambieranno e in che misura.

Non serve crogiolarsi sulla riapertura pensando di essere più tranquilli, piuttosto bisogna concentrarsi su come cambiare modello di business e reinventarsi. Bisogna sforzarsi di cambiare, creare il servizio dentro il servizio, l’industria nell’industria, cambiare business model per aprire un’alternativa alla classica attività. E se funzionerà e si riaprirà definitivamente, non solo si potrà continuare la propria normale attività, ma ne si avrà una seconda, che non potrà che aggiungere valore”.

Ultima domanda: cosa consigli a chi vuole intraprendere la strada della digital communication?

“Il consiglio migliore che posso dare è anche quello più utile: parlare con i clienti e chiedere come passano il loro tempo libero. Fare loro una survey, cercare di comprendere quali siano gli strumenti che utilizzano e poi cercare persone qualificate o società referenziate che sanno utilizzare quello strumento.

Il digitale non è una qualcosa di amorfo e senz’anima: è composto di persone che utilizzano questo strumento nei loro momenti liberi. Per questo non esiste consiglio migliore di guardare ai propri clienti o alle persone che si vogliono intercettare per utilizzare il digitale.

Non bisogna cimentarsi in qualcosa che non si sa fare: meglio affidarsi a un’agenzia o a una persona specializzata che fa questo mestiere, in modo da individuare la strada giusta e costruire un know-how specifico”.

Ringraziamo Francesco per il tempo che ci ha dedicato e per aver dimostrato come anche in un momento di forte crisi ci si possa sempre reinventare.

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