Ecologia dell’informazione, 7 regole per non essere cestinati

Comprare, usare, buttare. Comprare, usare, buttare. La società dei consumi, da tempo, ci induce ad acquisti superflui e genera inquinamento. Se parliamo di ecologia, pensiamo subito all’ambiente malato, a chi si propone di salvarlo, a chi continua ad adottare pratiche scorrette. Ma l’inquinamento non è soltanto un problema ambientale. Oggi è inquinato anche l’ecosistema dell’informazione che costringe i giornalisti a correre dietro ai fatti, producendo una valanga di notizie che disinformano i lettori e, talvolta, li stancano, inducendoli a passare oltre.

Succede, soprattutto, nel giornalismo online. Se un articolo non viene letto, significa che “inquina”. Lo sostiene Alberto Puliafito, direttore di Slow News ed autore – assieme al collega Daniele Nalbone – di un libro che si intitola “Slow Journalism. Chi ha ucciso il giornalismo?”, edito da Fandango. Dopo avere maturato una lunga esperienza in Rete, anche attraverso la direzione di Blogo, Puliafito ha deciso di dare vita ad un progetto libero ed indipendente che emancipi la categoria e risponda davvero alle esigenze del lettore.

Sono sette le regole che un buon giornalista dovrebbe rispettare, prima della pubblicazione. Analizziamole tutte, facendo esempi che possano aiutare a comprendere il pensiero dell’esperto, che ha fondato anche una casa di produzione indipendente, IK Produzioni, per realizzare e diffondere documentari. Da quando il reporter ha abbandonato la televisione commerciale, si occupa di inchieste sociali: dagli ex manicomi – è sua la regia di “Dall’altra parte del cancello” con Simone Cristicchi – ai fenomeni migratori ed alla cooperazione internazionale.

Alberto Puliafito

Pensiamo ecologico

Stiamo producendo troppo, dunque stiamo inquinando l’ecosistema dell’informazione. Per questo, secondo Alberto Puliafito, sul terreno della notizia proliferano odio, violenza, problemi di diversa natura. Il meccanismo è sempre lo stesso: succede qualcosa nel mondo che, come ogni accadimento, presenta molteplici sfaccettature ed è legato ad un contesto. Qualcuno diffonde la notizia – può essere un addetto stampa, un’agenzia di news, uno spin doctor – e lo fa senza spiegarla, allo scopo di attirare l’attenzione. Il racconto del fatto viene rilanciato da politici, da brand, dalle persone comuni che frequentano i social network. Per la fretta, a volte per interesse, scoppia la polemica. Spesso, si tratta di una diatriba sul nulla, perché il fenomeno è stato riportato malamente. È successo per l’app Immuni, sulla quale il nostro blog ha cercato di fare chiarezza, intervistando l’ingegnere informatico Christian Sisti. È successo per Armine Harutyunyan, la modella di Gucci, anche di questo ci siamo occupati, così come per i sacchetti di frutta e verdura, che sono diventati a pagamento, sui quali abbiamo discusso settimane.

Illustrazione di Frederick Burr Opper

Il vero problema è qualitativo: dobbiamo distinguere l’informazione che “informa” da quella che “disinforma”, che fa perdere tempo ed energie. L’attenzione del lettore è una risorsa preziosa, non deve essere sprecata per il superfluo. Oltre ad una corretta dieta alimentare, oggi dovremmo preoccuparci anche di una buona dieta mediale, incrementando la nostra capacità di selezionare, in modo critico, contenuti attendibili ed arricchenti. Una ricerca pubblicata già nel 2003 dall’Università di Berkeley approfondisce il problema dell’obesità mediatica, prodotta dal bombardamento informativo al quale siamo esposti quotidianamente.

Facciamo un po’ d’ordine

Secondo il giornalista Puliafito, organizzarsi aiuta e fa stare bene. “Dal mettere a posto il proprio ambiente di lavoro alla scrittura di mail strutturate, l’ordine contribuisce all’orientamento. Facciamoci una scaletta di ciò che vorremmo pubblicare, costruiamo un piano editoriale. Quando progettiamo un sito, pensiamo sempre alla user-experience: l’utente trova con facilità le informazioni di cui ha bisogno? Le sezioni della piattaforma sono ben evidenziate? Non esageriamo, poi, con la multimedialità: quando in un articolo inseriamo troppi link a pubblicazioni correlate può essere un fattore di disturbo, così come quando affianchiamo al testo un video”. Il problema del sovraccarico informativo dipende dal fatto che ostacoli la nostra mente nel mantenere una concentrazione elevata sui temi di interesse.

Nell’uomo la coscienza viene attivata dalla zona più antica del cervello, posta nel tronco encefalico, chiamata “Reticular activating system” (RAS) e formata da un gruppo di neuroni specializzati nel controllo dello stato di veglia. In pratica, il RAS è un sistema di allerta che ci consente di “notare” alcuni stimoli ed ignorarne altri. Se dedicassimo uguale attenzione a tutti gli input che ci arrivano dall’apparato sensoriale, saremmo confusi ed affaticati. Per questo, dobbiamo concentrarci su ciò che conta!

Rispettiamo il tempo

Si tratta di una risorsa scarsa, come l’attenzione. Secondo il report annuale di We are social, in Italia il tempo medio trascorso online è pari a sei ore al giorno. È ancora Youtube il social network più amato nel nostro Paese, dove il fenomeno del browsing è sempre in agguato. Navighiamo senza fruire, perché l’offerta infinita induce, spesso, a non prendere una decisione e a perdere minuti, se non ore, nella ricerca di che cosa vedere.

Thomson Foundation

Manteniamo le promesse

Catturare il lettore o l’utente non è semplice. Sono 400 mila le immagini che scorrono davanti a noi ogni giorno: fotografie, pubblicità, disegni. Il numero può soltanto aumentare quando si fa zapping su Internet. “Se il pubblico presta interesse per un nostro articolo – avverte Alberto Puliafito – non lasciamocelo scappare! Un link è una promessa, per questo deve essere di valore. Non pensiamo che fare riferimento alla concorrenza, quando ha lavorato bene, sia uno sbaglio. Anzi. I giornali dovrebbero citarsi tra loro, in positivo, non soltanto per mettersi in cattiva luce. Anche il titolo non può essere meramente un gancio e non deve ingannare. Si può titolare bene senza fare sensazionalismo”.

Parliamo in modo non violento

Le parole commuovono, uniscono, coinvolgono. Oppure offendono, umiliano, allontanano. In Rete, talvolta, l’aggressività fa da padrona tra tweet, post e commenti. Nella speranza di rendere Internet un ambiente migliore, l’associazione no-profit fondata da Rosy Russo ha redatto il Manifesto della comunicazione non ostile, un decalogo che invita gli utenti ad essere consapevoli, rispettosi e civili. Anche Puliafito è convinto che “blastare”, espressione coniata in era digitale (significa deridere pubblicamente), inquini e non sia da professionisti, perché si possono fare inchieste e dissentire, rimanendo umani, senza alzare la voce per prevalere sull’interlocutore. Il giornalismo come “cane da guardia”, garante della democrazia, secondo una definizione anglosassone, cioè con una funzione di sorveglianza contro l’illegalità, si può mettere in pratica senza insultare.

Togliamo l’ovvio, il superfluo, il dannoso

Secondo il giornalista torinese di SlowNews, “Si può arrivare ad emissioni zero nel mondo del giornalismo”. In che modo? Evitando archivi sterminati, cancellando gli articoli obsoleti, domandandosi prima di pubblicare se ciò che stiamo per dire sia davvero un contributo per la comunità. “Non facciamo il giornale di ieri, cerchiamo di essere, invece, i reporter dell’agenda 2030”.

Aggiungiamo il significativo

Nel mondo del giornalismo contemporaneo produrre contenuti di qualità è possibile. Occorre un’inversione di tendenza, che per adesso stanno facendo in pochi. All’estero è il caso di Le Monde, diretto da Luc Bronner, che su Twitter ha riepilogato il percorso intrapreso dal 2018: riduzione degli articoli, aumento dei giornalisti. Il quotidiano francese ha ridotto del 14 per cento il numero degli articoli, nel frattempo ha ampliato la base di scrittori (oggi più di 500), concedendo loro più tempo per realizzare contenuti ed inchieste.

In Italia, un esempio virtuoso è proprio SlowNews, il progetto editoriale che Alberto Puliafito ha creato nel 2014, per rallentare e tornare a fare informazione sostenibile. “Non crediamo che il cartaceo sia eterno, mentre il digitale effimero. La vera permanenza è in ambiente online. Per questo, dobbiamo renderlo vivo, aggiornarlo. Creiamo contesto con il vero multimediale. Comunichiamo in maniera non inquinante, in modo da sorprenderci. Vediamo i contenuti come un asset, non qualcosa di usa e getta. Meno è meglio!”.

Per approfondire ancora l’argomento, vi consigliamo di leggere l’intervista che la nostra collega Valentina Geminiani ha raccolto da Puliafito per il blog di Mediaddress. Buona lettura e… andate piano con l’informazione!

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