La Gamification: il trend che piace alle aziende

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Dall’interazione alla gamification: nel 2002, Nick Pelling era un programmatore britannico che progettava interfacce per dispositivi elettronici. Compito del suo lavoro era quello di fornire un’esperienza di interazione che fosse coinvolgente, piacevole, meno “fredda” e distaccata. E che non desse agli utenti l’impressione di trovarsi di fronte a uno sportello ATM o a un semplice distributore automatico.

Da qui l’intuizione che avrebbe fatto la storia: integrare alla user experience queste interfacce con elementi presi in prestito dal gioco; tecniche e meccanismi tipici del game design, che regalassero al pubblico un’esperienza più interessante, immersiva, “ludica” per l’appunto. Fu allora che Nick Pelling, per dare un nome a questa intuizione, coniò per la prima volta il termine gamification.

Un anno dopo decise così di lanciare la sua startup Conundra Ltd, una società specializzata proprio in gamification. Ironia della sorte, l’idea di Nick Pelling non fu accolta con grande entusiasmo e la società venne chiusa poco dopo per mancanza di clienti. Ma il seme era ormai piantato.

Nel giro di pochi anni, grazie anche a una serie di avvenimenti fortuiti, la gamification iniziò ad acquisire popolarità, diffondendosi lentamente in diversi settori e diventando uno dei temi “caldi” nelle conversazioni di eventi per sviluppatori, game designer e investitori. Fino a diventare un vero e proprio trend.

La gamification: caratteristiche e potenzialità

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In italiano potremmo tradurla con “ludicizzazione”. Ma la gamification non è semplicemente l’introduzione di meccanismi tipici del gioco nelle attività di un sito, un’app o di un dispositivo elettronico.

Oggi la gamification rappresenta uno strumento estremamente efficace per veicolare messaggi di vario tipo, indurre gli utenti a comportamenti attivi per raggiungere specifici obiettivi, personali o d’impresa, attraverso le dinamiche di gioco. Per questo molte aziende, spinte anche dalla voglia di innovare e di introdurre nuove esperienze di employee engagement, hanno cominciato a servirsi della gamification per i motivi più disparati. Alcuni esempi? Migliorare la gestione dei clienti e i processi di customer care, formare i dipendenti, attrare nuovi talenti e rendere maggiormente coinvolgente il processo di recruiting e di inserimento del candidato in azienda. O ancora, come strumento a supporto per lo smart-working.

E sembrerebbe che i dipendenti accolgano positivamente questa nuova tendenza.

Uno studio di FinancesOnline sulla gamification in azienda, infatti, rivela che il 97% dei dipendenti di età superiore ai 45 anni ritiene che la gamification aiuterebbe a migliorare il proprio lavoro. Inoltre, l’85% dei dipendenti è ben disposto a dedicare più tempo a programmi di formazione ma con dinamiche ludiche.

Le tre regole di Daniel H. Pink per far funzionare la gamification

Daniel H. Pink, nel suo libro Drive. La sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita, individua quelli che sono i tre elementi principali per far funzionare un progetto di gamification per le aziende:

Autenticità e significatività: il gioco deve essere un amplificatore

Un processo di gamification non deve inventare nulla. Deve amplificare un messaggio, un valore, un obiettivo. Deve essere chiaro e non complesso, intuitivo e coinvolgente. Perché è l’utente che deve trarne un beneficio e non chi il processo lo pensa o lo propone.

Competenza e apprendimento: veicolare il messaggio

Ogni attività di gamification per le aziende deve avere un obiettivo semplice e chiaro. E deve insegnare qualcosa, avere un intento formativo in senso ampio, come intuì Nick Pelling. Per esempio, può potenziare nozioni tecniche così come soft e life skills, ma anche veicolare concetti più “articolati” come una mission aziendale o sensibilizzare su tematiche sociali, ambientali o economiche.

L’autonomia (e la fiducia) sono la chiave

I partecipanti al gioco devono essere liberi, autonomi, e avere pieno controllo sul processo. Questo aspetto non solo viene percepito dai dipendenti come un segnale di fiducia da parte dell’azienda, ma li aiuterà anche a lavorare meglio e a dare i risultati sperati.  

Il caso Sorgenia: valutare e formare le soft skill dei dipendenti attraverso il gioco

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È possibile rendere il percorso di assunzione un’esperienza di gioco per i candidati? Sì, come testimonia il caso di Sorgenia. Alla presenza di sessanta partecipanti, Sorgenia ha organizzato un processo di selezione del personale servendosi proprio della gamification. Obiettivo: individuare venti profili da inserire in azienda con un contratto di stage finalizzato all’assunzione.

La dinamica era semplice. Sei squadre si sono sfidate a rotazione su sei diversi tavoli collegati ciascuno a un gioco, sotto gli occhi di due psicologi per squadra che hanno valutato in tempo reale la prestazione e le soft skill dei singoli all’interno del gruppo.

Ma come sono stati scelti questi sessanta candidati? Sempre attraverso la gamification. Nella fase di pre-selezione, infatti, l’azienda ha selezionato duecento candidati (su circa mille candidature ricevute), sulla base degli studi fatti e del voto di laurea conseguito. A questi duecento è stato poi inviato uno strumento di gioco per la valutazione delle soft skill. Questo strumento ha consentito di stilare un ranking dei candidati, una classifica dei “meritevoli, in base alle soft skill di ciascuno, incrociate con quelle identificate da Sorgenia come rilevanti per l’azienda.

I primi sessanta classificati sono quelli che hanno avuto poi la possibilità di partecipare all’evento di gamification, dove si sono messi alla prova con giochi di vario tipo e quesiti logico-deduttivi.

Per approfondire la gamification per le aziende, ecco alcune letture utili:

Yu-Kai Chou, Actionable Gamification: Beyond Points, Badges and Leaderboards

Kevin Werbach, For the Win: How Game Thinking Can Revolutionize Your Business

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