Il ruolo del giornalista nel comunicare la scienza

Scienza giornalista

Oggi più che mai, comunicare la scienza in modo corretto è fondamentale. Tra fake news ed allarmismi, il giornalista dovrebbe essere un gatekeeper contro la disinformazione.

L’illustrazione è di Lev Tankelevitch

Partiamo da un distinguo: esistono giornalisti scientifici e giornalisti non specializzati. I primi lavorano nelle riviste di settore, hanno una formazione ad hoc e, generalmente, sono pubblicisti, ossia medici, biologi, chimici che, parallelamente alla loro professione, scrivono con regolarità articoli che possono apparire anche nelle apposite rubriche di quotidiani e settimanali. Tipico è l’esempio dello psicologo che pubblica articoli, o risponde alle domande delle lettrici, su una rivista femminile. È naturale che questo genere di informazione abbia rigore scientifico.

I dubbi, invece, possono sorgere quando chi scrive non ha una specifica qualifica e, tuttavia, viene incaricato dal caporedattore di seguire un evento scientifico, oppure un convegno, una conferenza stampa. Qui entrano in gioco la serietà e la professionalità del cronista che non dovrà vergognarsi di rivolgere qualsiasi domanda allo specialista, per capire e per fare capire ciò che scriverà.

Gli scienziati, spesso, fanno uso di un linguaggio tecnico, i cui termini possono richiamare processi molto complessi e non traducibili con vocaboli di uso comune. Nella comunicazione destinata ad un pubblico inesperto è necessario, allora, utilizzare un linguaggio condiviso. Ma quando questo non è possibile, è indispensabile spiegarne il significato ricorrendo, eventualmente, ad analogie con situazioni di vita quotidiana più comprensibili.

Tra gli errori più comuni, secondo Brian Resnick, reporter scientifico di “Vox”, c’è la pretesa, da parte dei giornalisti, di voler trarre da uno studio la risposta definitiva ad una particolare domanda, quando è molto improbabile che un singolo studio possa risolvere, da solo, un problema scientifico. I giornalisti – e i lettori – vogliono conoscere subito la risposta, ma questa può arrivare dopo decenni di studi in quel campo.

Fortunatamente, divulgare non significa sempre sbagliare. La maggior parte degli scienziati sa che riuscire a comunicare ai “non addetti” i risultati di una ricerca è fondamentale per il progresso.

Piero Angela, giornalista nato a Torino nel 1928, ha fatto della comunicazione scientifica una missione. Con “Superquark”, programma di divulgazione scientifica tra i più longevi della storia della televisione, Angela ha accompagnato generazioni di Italiani alla scoperta dei misteri della scienza usando un linguaggio chiaro ed accattivante che non si limita alla semplificazione dei problemi scientifici, ma guida il profano nella comprensione e nella scoperta. Autore di programmi televisivi e libri divulgativi esportati in molti Paesi del mondo, Piero Angela è stato il primo italiano ad essere insignito del prestigioso Premio Kalinga dell’Unesco per la divulgazione scientifica.

Enrico Fermi diceva che quando voleva spiegare qualcosa – e si riferiva alle sue lezioni per gli studenti di Fisica – il primo passo che faceva era cercare di dare l’idea generale creando subito un collegamento con il suo pubblico, un’empatia per fare capire l’argomento, anche solo per suggestioni. Solo dopo iniziava a complicare la questione, introducendo la complessità della materia (andando comunque per gradi).

La stessa cosa vale, a maggior ragione, per la divulgazione, dove è impossibile non usare le analogie, le metafore, le immagini prese dalla vita quotidiana che sono quasi sempre il gradino di partenza.

A me piacerebbe che la scienza permeasse i vari ambiti della società e della cultura in maniera subliminale, indiretta, cioè non ex cathedra. L’aspetto umano e quello della passione sono gli elementi che davvero mi interessano nella ricerca. Se racconti gli scienziati in un certo modo, fai anche capire che non sono delle persone così sganciate dalla realtà.

Amedeo Balbi

Nella divulgazione scientifica, allora, giornalista e scienziato devono “incontrarsi”, ossia andarsi in contro reciprocamente. Quando una notizia esce male, come si dice in gergo giornalistico, la responsabilità può essere dell’uno, dell’altro, o di entrambi. E, soprattutto, l’errore nuoce all’intera collettività.

L’illustrazione è di Matteo Farinella e fa parte della serie “Science Heroes”
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