Che ne sarà di questo influencer marketing? Intervista a Marika Marangella

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“È la fine dell’influencing come l’abbiamo sempre conosciuto?” Vanity Fair, parafrasando il titolo di una celebre canzone dei R.E.M., ha pubblicato un lungo articolo in cui l’autrice, Kenzie Bryant, riflette su come l’emergenza globale avrà un impatto sulla comunicazione e, in particolare, sull’influencer marketing. Negli Stati Uniti, infatti, è successo di tutto da quando è scoppiata la pandemia da Covid-19: dai comportamenti irresponsabili di social media celebrities a campagne riparatorie, per arrivare ad un sensibile calo di interesse verso i contenuti pubblicati.

Ciò che emerge dall’analisi del magazine è il contrasto tra l’autenticità (elemento chiave per un influencer capace di convertire) e la mancanza di consapevolezza della crisi in atto. Con che credibilità una persona che non ha rispettato le norme, anche quelle del buon senso, come stare a casa durante la pandemia, potrà, poi, promuovere un paio di scarpe o un nuovo brand beauty? 

Coronavirus e influencer marketing: un settore già in crisi?

Anche i (pochi) dati a disposizione ci aiutano a descrivere una situazione che, in parte, è già in difficoltà. Izea, una società che collega marketer e influencer, ha realizzato un primo rapporto che dà un avvertimento: da un lato, il traffico sui social network cresce, dall’altro, il valore economico, pagato dalle aziende per la pubblicazione dei contenuti, progressivamente cala o andrà a calare. Inoltre, ci sono alcune campagne di adv che sono state sospese: basti pensare a quelle legate agli eventi e alle iniziative che non si possono svolgere. Il pubblico stesso non solo passa più tempo su Instagram o sugli altri social, ma è anche sempre più esigente e pronto a riconoscere e criticare un contenuto che si ritiene poco adatto al periodo.

Bryant conclude l’articolo spiegando che “è difficile capire quanto e per quanto tempo questa paura avrà un effetto sul business. Annoiati e stanchi, tristi e in lutto, vorremo rivolgerci a volti familiari per tirarci su? Saremo pronti ad accogliere una distrazione, comprare qualcosa di frivolo che ci è stato consigliato? Saremo capaci di guardare un influencer postare, per esempio, dal Coachella senza sentirci a disagio perché ci saranno troppe persone e troppo vicine? È difficile da dirsi. Tutto ciò che so è che siamo tutti finanziariamente al verde. Siamo bloccati a casa senza alcun posto dove andare. Alcuni di noi sono con i propri figli senza nessun mezzo che ci porti altrove, né una tata. L’influenza esercitata senza pensare, in maniera insensibile o addirittura imbarazzante ha oggi il potere di far molto male al pubblico”, che è la ragione stessa che permette al content creator di fare il proprio lavoro.

Il dibattito è stato aperto negli Stati Uniti, ma in Italia cosa sta succedendo in queste settimane? C’è un consenso pressoché unanime nel valutare positivamente l’atteggiamento di Chiara Ferragni che ha preso, sin da subito, una posizione, non soltanto incoraggiando i suoi follower a stare a casa e a prendere sul serio l’emergenza, ma anche lanciando una poderosa raccolta fondi a sostegno della Terapia Intensiva del San Raffaele di Milano. E gli altri? C’è chi continua a postare e a pubblicare come se nulla stesse succedendo – scattando anche nuove foto di outfit nel cortile di casa o davanti al portone – chi ha stravolto il piano editoriale, chi è rimasto se stesso.

Per capire meglio cosa sta succedendo e cosa aspettarci per il futuro, abbiamo intervistato Marika Marangella, influencer, content creator e social media manager.

Il futuro dell’influencer marketing: la parola a Marika Marangella

marika marangella instagram

Prima di tutto chiediamo a Marika di presentarsi. Tarantina di nascita, ormai bolognese d’adozione, online la conosciamo con il suo nome e cognome, oppure affettuosamente rinominata “Marangy”. Puoi raccontarci un po’ della tua storia come content creator?

“Partiamo dal fatto che io sono laureata in Scienze della Comunicazione all’Università di Bari, e che i social mi hanno sempre affascinato. Per cui, oltre ad avere un profilo Twitter e un account Facebook, nel dicembre 2013 ho aperto anche profilo Instagram, un po’ per sperimentare, ma soprattutto perché dovevo far togliere una mia fotografia che era pubblicata senza autorizzazione. È iniziato per caso, ma piano piano ho capito le dinamiche del social, come scattare le foto e come fare l’editing e, alla fine del 2014, ho iniziato a frequentare quelli che erano gli Igers famosi della Puglia, che si trovavano, per la maggior parte, proprio a  Bari dove vivevo e studiavo.

La cose sono cambiate davvero durante l’Erasmus. A gennaio 2015 mi sono trasferita a Parigi e da lì è iniziato il mio percorso da content creator: ho utilizzato Instagram come mezzo per imparare il francese e scoprire la città da un punto di vista diverso da quello del turista. Continuavo a pubblicare fotografie scattate in giro, a partecipare agli Insta-meet, che in Francia erano già più frequenti. Arriva il giugno 2015 quando mi ritrovo un messaggio nei Direct e un’email in cui Instagram mi dice che per i successivi 15 giorni sarei stata tra i “Suggeriti” della piattaforma con visibilità a livello mondiale: in due settimane sono passata da 6.000 follower a 33.000. Da qui, le prime collaborazioni a partire dall’Ufficio del Turismo di Parigi passando poi alla Regione Puglia, una volta tornata dall’Erasmus e, di fatto, non ho più posato la valigia finché non ho trovato lavoro in un’agenzia di comunicazione, perciò anche la mia attività è cambiata.  

Prima mi occupavo principalmente di viaggi, oggi ho avuto modo di puntare su ciò che ho a portata di mano: eventi, product placement a casa, blog tour nei weekend. All’inizio mi sembrava incredibile che ci fosse modo di guadagnare qualcosa utilizzando Instagram, ma diciamo che mi sono abituata e ho fatto 150 collaborazioni in cinque anni e oggi mi occupo di influencer marketing anche, in parte, nel mio lavoro in agenzia”. 

Il tuo punto di vista sull’argomento è in un certo senso duplice, e immagino tu abbia seguito l’evoluzione della comunicazione dei content creator sin da quando sono comparse le prime notizie sul Coronavirus in Italia. In generale, si è parlato molto di Chiara Ferragni, parzialmente di Clio make up che ha lasciato New York ai primi contagi, in alcune bolle del ritorno di fiamma tra Giulia De Lellis e Andrea Damante (con possibile e non confermata violazione della quarantena). Come si stanno comportando gli influencer italiani?

“Inizialmente la situazione era molto traballante. Dagli strafalcioni di Chiara Biasi alla polemica sul “il Sud che vince sul Nord”: questi erano segnali che dimostravano che, ancora una volta, molti influencer e web celebrities non avessero chiaro di avere per le mani uno strumento potentissimo per cui era necessario dare il buon esempio.

Poi è arrivata Chiara Ferragni che è stata provvidenziale e ha dimostrato ancora una volta, e forse in maniera convincente come non mai, di essere prima di tutto una persona intelligente e consapevole del suo ruolo. Sicuramente c’è anche una strategia dietro al mostrarsi in ciabatte o mentre cucina la torta di compleanno per suo figlio, ma da un lato mostra di non essere solo la persona con la vita meravigliosa e scintillante che si può immaginare, e dall’altro ha utilizzato la sua notorietà per fare qualcosa di concreto. Non soltanto sono stati raccolti migliaia di euro, ma la sua iniziativa ha dato il via a decine di altre raccolte simili in tutta Italia.

Se dovessi riassumere in tre parole i contenuti della Ferragni in quarantena? Divertenti, leggeri e informativi”. 

Chiara Ferragni, in un certo senso, è un caso a sé. Allargando lo sguardo su tutto il panorama degli influencer in Italia, come hai percepito l’impatto dell’emergenza Coronavirus sul settore?

“L’emergenza è arrivata in un momento cruciale: quello della progettazione. Tra fine febbraio e metà giugno, infatti, si gettano le basi per le collaborazioni e le campagne, un’attività che è rallentata molto. Dal punto di vista dei contenuti, non ha avuto su tutti i creator gli stessi effetti: per esempio, chi di solito viaggia molto, ora non può produrre contenuti a tema ed è costretto a modificare la comunicazione trovandosi in difficoltà. Molti influencer, ormai, abituati a produrre contenuti solo se sponsorizzati, si sono chiusi nel mutismo, senza buttarsi sui contenuti più spontanei, altri invece stanno sfruttando il periodo per optare per cambiamenti che magari già volevano fare prima, dedicandosi per esempio a una comunicazione più intima e personale.

Questo periodo, a mio avviso, sta permettendo sia ai brand, sia alle community, di studiare gli influencer: osservano il nostro modo di comunicare, come gestiamo questo periodo di vita “meno meravigliosa” e iniziano ad avere dei parametrici per “giudicarci”, come: credibilità, versatilità, capacità di produrre contenuti utili anche in momenti complicati”.

L’effetto Coronavirus, allora, c’è…

“Paradossalmente, è quasi un bene, perché aiuta a scremare il mercato che ormai era molto saturo, pieno di figure simili tra di loro che finivano a partecipare alle stesse campagne o realizzare contenuti in stock. Adesso questa forzatura, spinge a dover fare qualcosa di nuovo e cercare di raccontarsi in maniera più intima, svelando un po’ all’osservatore attento quanto è reale la capacità di influenzare la community”. 

Certo è che siamo sommersi di contenuti e, soprattutto, abbiamo assistito allo sdoganamento delle dirette. Ce ne sono così tante che Giulia Valentina (e non è la sola) si è reinventata Signorina Buonasera per annunciare il palinsesto del giorno. Ma a cosa servono? E cosa resterà, quando avremo tutti di nuovo più cose da fare, di tutte queste dirette?

“Le dirette non sono uno strumento nuovo, sono disponibili dal 2017 e, fino a poco tempo fa, erano considerate una feature da utilizzare solo se avevi qualcosa di straordinario da dire. Per esempio, io non ne avevo mai fatta una, ma in questa quarantena sono già a tre. La prima per fare un test, una con una radio e l’ultima con un’agenzia che si occupa di festival e musica. È stato divertente; il rischio, però, è davvero quello di esagerare: in alcune fasce orarie, come le 18 o le 20, ce ne sono talmente tante che sembra di essere davanti alla televisione con un telecomando con cui scegliere su che canale sintonizzarsi. Ma quello che mi chiedo io è: se ogni giorno vai in diretta, cosa avrai mai da dire?

Al tempo stesso, le live aiutano ad avvicinarsi alla tua community perché stimolano molto l’interazione e incoraggiano a scrivere anche persone che prima stavano zitte. È un’attitudine al conversare che è data dal momento, ma che potrebbe rafforzare il rapporto con il follower anche in prospettiva futura. Altri, invece, le stanno sfruttando come forma di intrattenimento, facendo spettacolo, conversazioni ironiche e divertenti, pensate per farci passare il tempo. Altri ancora hanno strutturato piccoli palinsesti: un esempio è quello di D come Donna che, in ogni diretta, intervista una donna diversa che “ce l’ha fatta” nel suo settore. Un’ultima tipologia interessante che, secondo me, dovremmo tenere d’occhio perché potrebbe resistere anche in futuro, è la diretta del brand che ospita l’influencer”.  

Che sia questa una piccola trasformazione che il Coronavirus sta producendo sull’influencer marketing?

“Esattamente. Le dirette non sono più, da manuale, l’opzione da scegliere per proporre ai follower qualcosa di straordinario, ma un modo diverso per intrattenere, interagire e informare. In futuro, i brand o anche gli enti del turismo potrebbero decidere di non creare stories, ma contenuti live che, in ogni caso, si possono salvare sul profilo ed, eventualmente, anche ripubblicare sulla IGTV.  Soprattutto per le persone che già sono molto coinvolgenti nelle stories, questa potrebbe essere una opzione da valorizzare anche in futuro”. 

Parlavamo prima del fatto che le community in questo momento sono particolarmente “attente” a ciò che pubblicano e non pubblicano gli influencer. Ma forse, per spezzare una lancia a loro favore, val la pena ricordare che non si tratta solo di persone con dichiarazioni dei redditi milionarie, ma anche di decine di liberi professionisti con partita IVA che senza eventi e con il rischio di diventare subito cringe quando si sponsorizza qualcosa. Forse ci si trova in una situazione in cui qualsiasi cosa fai, sbagli o ti esponi a critiche. Come bilanciare l’esigenza di continuare a guadagnare qualcosa con quella di conservare la community? Ti viene in mente qualche esempio virtuoso o interessante?

“Diciamo subito una cosa: quasi tutti i prodotti che popolano le stories in questi giorni sono frutto di uno scambio merce e non di una sponsorizzazione. I creator non ci stanno guadagnando nulla, se non i prodotti in sé, e l’azienda sta chiedendo davvero una mano per restare a galla e provare a farsi ricordare. È un duplice investimento sul futuro. 

A me non irritano gli adv anche in questo momento, ma confrontandomi con la mia community con cui parlo spesso di comunicazione, mi sono resa conto che molti dei miei follower mal sopportano chi sta postando troppi contenuti e non apprezzano chi sta realizzando sponsorizzazioni. Quello che penso io è che se fai questo come lavoro e magari in questo momento non stai fatturando, fondamentalmente l’unico modo per rimanere in vista è riuscire a fare dei contenuti diversi dal lamentarsi. Una volta finiti tutti i consigli su cosa fare (detti da tutti), perché non condividere qualcosa di utile che sia totalmente spontaneo, regalato o sponsorizzato? 

L’esempio perfetto di come bilanciare il tutto è, secondo me, Tommaso Zorzi. Sta riuscendo a raccontarsi in maniera divertente, a coinvolgere la community anche attraverso la diretta, e creando contenuti di qualità anche in quarantena in casa. Inoltre, ha adottato da subito in prima persona comportamenti adeguati alla situazione, veicolando così i messaggi corretti”.

Grazie Marika per il tuo contributo. Continueremo a seguirti. In bocca al lupo! 😉

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