Native Advertising: la pubblicità che si nasconde nel testo

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Il Native Adv si sviluppa come conseguenza della cosiddetta “banner blindness” (cecità da banner), cioè l’indifferenza dei consumatori nei confronti della pubblicità tradizionale online.

Gli utenti, stanchi di ricevere pubblicità intrusiva, quasi non si accorgono nemmeno del contenuto del messaggio, limitandosi semplicemente a chiudere la pagina o il banner che gli appare durante la navigazione.

Questo rende totalmente inefficace questa tipologia di advertising e pone le basi per la nascita di nuovi format pubblicitari.

Al contrario della pubblicità tradizionale, che interrompe l’attività degli utenti, il Native Adv assume le medesime sembianze dei contenuti del contesto editoriale sul quale è ospitato, diventandone parte integrante.

Il termine fa ormai parte del linguaggio comune, ma siamo sicuri di sapere realmente di cosa si tratti?

Spesso facciamo confusione tra questo fenomeno e altri come ad esempio il Pubbliredazionale o il Content Marketing.

La definizione (o una tra le tante)

 Il Native advertising fa riferimento ad annunci a pagamento coerenti con il contenuto della pagina, con il design e il comportamento della piattaforma in cui sono ospitati, in modo che l’utente li percepisca semplicemente come parte di essa. (Native Advertising Playbook)

Negli anni successivi molti altri hanno dato definizioni sull’argomento ma, senza stare ad elencare le varie definizioni, possiamo dire che quest’ultima ne racchiude il senso generale.

Il Native Advertising può essere visto come l’evoluzione dei contenuti sponsorizzati.

È una forma di pubblicità indiretta in cui il messaggio dell’azienda è totalmente integrato nel contenuto editoriale, con la chiara indicazione dell’inserzionista che lo sponsorizza (la disclosure).

I contenuti sono detti “nativi” perché ideati, sviluppati e realizzati per un canale specifico di diffusione che è quello digitale.

Il testo del contenuto generalmente è di taglio informativo, ma è possibile trovare anche testi narrativi che raccontano una storia, cercando di creare un legame emozionale.

Nel documentoNative Advertising Playbook” è possibile trovare tutte le tipologie di Native Adv, oltre alla definizione sopracitata.

Il problema non è quindi la definizione di per sé, bensì l’interpretazione di questa.

Differenza tra Pubbliredazionale e Native Adv

La pubblicità redazionale è un testo informativo, redatto similmente ad un normale articolo di taglio giornalistico, volto a promuovere beni o servizi dietro un corrispettivo da parte dell’azienda inserzionista.

Questa pratica è nata di fatto come forma di pubblicità occulta che non consente al lettore di distinguere un messaggio pubblicitario da un vero e proprio contenuto editoriale.

Il Native Adv riporta chiaramente che l’annuncio non è stato redatto dall’editore della pagina bensì da un inserzionista esterno e che il contenuto potrebbe non riflettere l’opinione della redazione su quel determinato argomento.

Essendo comunque molto simili tra loro, se non addirittura uno l’evoluzione dell’altro, è necessario fare il punto della situazione:

Pubbliredazionale:

  • Contenuto informativo
  • Presenza del prodotto/servizio
  • Natura pubblicitaria
  • Dissimula la natura pubblicitaria

Native Advertising:

  • Contenuto narrativo o informativo
  • Assenza o presenza del prodotto/servizio
  • Natura pubblicitaria
  • Non dissimula la natura pubblicitaria

Differenza tra Content Marketing e Native Advertising

La differenza tra Native Adv e Content Marketing è sottile a livello di contenuto. Ma esiste un’importante differenza a livello di pianificazione.

Il Content Marketing non è una singola attività o tattica ma una strategia e un approccio mentale.

Le sue caratteristiche principali sono:

  • Contenuto narrativo, informativo o esperienziale
  • Assenza o presenza del prodotto/servizio
  • Non ha natura pubblicitaria
  • Presenza della firma sul contenuto

Facciamo due esempi per capire meglio.

Red Bull è un esempio di azienda che sfrutta le potenzialità del Content Marketing.

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Nel proprio sito web dedica alla bevanda uno spazio secondario. L’azienda dà priorità a contenuti interessanti, capaci di coinvolgere ed intrattenere il proprio pubblico. Non annoia il pubblico parlando dei propri prodotti ma dà spazio a storie attraverso narrazioni potenti ed interessanti.

Se, invece, Red Bull inserisse un suo articolo in una testata giornalistica online, rispettandone la linea grafica e contenutistica, quell’articolo sarebbe un “Native Adv”. Questo è ciò che ha fatto Netflix con l’articolo “Women Inmates: why the male model doesn’t work” sul New York Times.

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Il pezzo è stato commissionato da Netflix per promuovere l’uscita della seconda stagione della serie “Orange Is The New Black”, che tratta l’esperienza di una donna in carcere. Questo articolo non dice esplicitamente di guardare lo show ma indaga approfonditamente l’argomento delle donne in prigione. Notiamo in testa all’articolo l’indicazione “Paid Post” seguito dal nome dell’inserzionista e all’interno del testo troviamo una sola menzione alla serie televisiva.

Non solo testo

È interessante notare però che il Native Adv non è solo testo e pubblicazioni su testate giornalistiche online, bensì anche social e soprattutto video.

I video, infatti, sono il format che crea maggior engagement.

Questo è poi l’obiettivo a cui tutti ambiscono. Ossia attrarre l’attenzione del pubblico e suscitare interesse nei confronti del brand.

La differenza, però, rispetto ad esempio a un progetto di Content Marketing è che il Native Adv, essendo di base una pubblicità, ha l’obiettivo di ottenere un ROI a breve termine.

Gli inserzionisti sfruttano l’autorevolezza della testata in cui appaiono per raggiungere la propria audience-target.

L’obiettivo degli inserzionisti e degli editori è di realizzare prodotti editoriali che siano il più possibile coerenti con il contenuto della pagina e che rispecchino le aspettative di un utente già fidelizzato.

Quindi, il Native Adv offre una soluzione vantaggiosa per tutti i tre attori in gioco:

  • Gli editori, che beneficiano di contenuti nuovi e di valore.
  • I brand che hanno la possibilità di migliorare efficacemente la relazione con il proprio target.
  • I consumatori che hanno a disposizione contenuti di qualità, interessanti e gratuiti che possono aggiungere valore all’esperienza di navigazione.
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