Nel nome del padre. Chi sono gli uomini-coraggio che adottano da soli
Viveva nel nome del padre. Nel nome di quel prete coraggioso che aveva deciso di adottarlo per dargli una famiglia, una casa, un’identità. Il padre esiste ancora, è don Gino Rigoldi, parroco di frontiera, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano. Il figlio era “Drago”, un ragazzo rom, di origini croate, che ufficialmente non esisteva. Nessuno aveva mai registrato la sua nascita, né gli indirizzi dei giacigli dove dormiva. Oggi “Drago”, diventato all’età di 22 anni Valentino Rigoldi, purtroppo non c’è più. Un incidente stradale lo ha portato via, ma suo padre non si è fermato. Ha adottato altri tre ragazzi, salvandoli dalla strada. Una scelta di vita importante quella di don Rigoldi, nata dal bisogno di dare amore totale, forte, indulgente. Un sentimento terreno, magnanimo e severo, come quello che prova un qualsiasi papà che si commuove per nulla e per nulla s’infuria.

Ma per un prete che accoglie c’è un intero Paese, l’Italia, che non adotta più. È un trend mondiale. Pesano i nazionalismi e il calo delle nascite. Gli ultimi dati, diffusi nel 2020 dalla Commissione adozioni internazionali (CAI), parlano chiaro. Se nel 2010 nelle nostre famiglie erano arrivati oltre 4 mila bambini stranieri, nel 2019 ne sono stati adottati soltanto 969. Cina, Federazione Russa, Bielorussia e Vietnam sono i Paesi più colpiti dal black-out. Colombia e Perù, invece, hanno registrato una lieve crescita. Quest’ultimo non è l’unico dato confortante.
Sono circa 3 mila, attualmente, le procedure pendenti in capo agli enti autorizzati. La voglia di adottare, dunque, non manca. In Europa, l’Italia resta una nazione virtuosa, soprattutto rispetto alla Francia, alla Spagna e alla Germania. A livello globale, inoltre, siamo secondi soltanto agli Stati Uniti d’America e risultiamo molto aperti ai bisogni dei bambini in “special needs”, ovvero con problematiche fisiche e psicologiche.
Luca Trapanese, il papà-social di Alba
Ma l’Italia ha un’altra particolarità. Mentre la famiglia tradizionale è in crisi, aumentano i single che esprimono il bisogno di diventare genitori. La legge non lo consente, ma si può ricorrere all’affidamento che spesso diventa “sine die”, senza scadenza, realizzando il sogno di sentirsi, anzi di essere, padre o madre. Ha scelto questa strada Luca Trapanese, single ed omosessuale, che il popolo di Facebook ha imparato a conoscere come padre di Alba, una meravigliosa bambina affetta da sindrome di Down. La loro pagina conta, ormai, più di 300 mila seguaci ed è possibile vederli anche su TikTok mentre ballano, giocano, fanno conoscere il mondo della disabilità che per molti è ancora un tabù.

Napoletano, 44 anni, Luca Trapanese ha fondato una casa famiglia, “La casa di Matteo”, che accoglie bambini con gravi malformazioni. Unica nel Sud d’Italia, questa struttura è soltanto l’ultima nata dalla volontà di Trapanese. Con Eduardo Savarese, infatti, l’operatore sociale aveva già dato vita alla onlus “A ruota libera” ed a vari progetti per disabili senza genitori.
Viaggiatore, amante dell’India e dell’Africa dove ha lavorato con le suore di Madre Teresa, Luca Trapanese coordina da dieci anni anche i progetti della Fondazione del Cardinale di Napoli e non giudica chi non ha il coraggio di tenere un bambino disabile. Prima di incontrare Alba, questo papà speciale aveva già conosciuto tante donne in difficoltà, “prive degli strumenti necessari a fare le madri”, come dice lui.
E con Alba è stato amore a prima vista. “Ho sentito il bisogno di diventare padre – racconta attraverso i social – quando convivevo con il mio compagno. Siamo stati assieme undici anni ed è stato un periodo molto felice. La nostra storia poi è finita, ma in me è rimasta la voglia di dare amore ad un bambino in difficoltà”.
È l’anno 2017 quando Luca decide di concretizzare il suo sogno. Si rivolge al Tribunale di Napoli e chiede l’autorizzazione ad ottenere in affidamento un minore, non un minore qualsiasi, ma disabile, uno di quelli che vengono spesso lasciati negli ospedali affinché possano essere amati da una famiglia idonea.
Come accogliere la disabilità
“Non mi piace il termine abbandono – specifica Trapanese – perché lasciare un figlio in ospedale è un diritto previsto dalla legge. Chi lo esercita ama il suo bambino al punto di cederlo a chi sia in grado di farlo crescere serenamente. Dobbiamo sfatare il mito della maternità innata. Essere donna non significa dovere per forza diventare madre. Esistono tante ragazze che non hanno il cosiddetto istinto materno, altre che hanno subìto violenza, altre ancora che non possiedono i mezzi per garantire una crescita felice al figlio. In tutti questi casi, il nostro ordinamento permette di lasciare il bambino in ospedale”.
Rifiutata da una trentina di famiglie, Alba viene proposta a Luca Trapanese. Erano passati soltanto sette mesi dalla domanda di affidamento, ma era già evidente che nessuno avrebbe accolto la neonata con sindrome di Down. Nessuno, eccetto Luca.
“La disabilità fa paura – spiega il papà single – sia perché c’è ancora ignoranza sull’argomento, sia perché lo Stato non offre un percorso di affiancamento alle famiglie. Dalla nascita del bambino fino al suo inserimento nel mondo del lavoro, i genitori andrebbero aiutati. Da Milano a Palermo, invece, è vuoto assoluto. I più fortunati vengono sostenuti da fondazioni e associazioni, gli altri restano ai margini della società per tutta la vita”.
Accogliere in casa un bambino speciale non è mai una passeggiata. Alba è sana, ma esistono tanti suoi coetanei con sindrome di Down che hanno problemi cardiaci e deficit della vista. Nonostante tutto, anche Alba ha avuto bisogno di fisioterapia, psicomotricità e, ancora adesso, di logopedia.
Molti sostengono che il bisogno di un single di adottare sia la risposta ad un istinto egoistico.
“È proprio così – conferma Luca Trapanese – ma si tratta di sano egoismo. Non mi sono mai pentito della mia scelta. E non è vero che un single non sia idoneo a fare il genitore. Esistono tanti tipi di famiglia, bisogna prenderne atto. Alba vive esattamente come tutti gli altri bambini, ha due nonni, i cuginetti, gli zii e tantissimi amici. Non vedo l’ora che si superi la pandemia per farla viaggiare”.
Un libro da leggere con i propri bambini
Nell’attesa, la piccola Alba vola con la fantasia. A tre anni d’età è già protagonista di due libri importanti. Il primo, edito da Einaudi, si intitola “Nata per te” ed è stato scritto a quattro mani da Luca Trapanese e Luca Mercadante. Il secondo, appena uscito, è stato pubblicato da Giunti e racconta con naturalezza le storie di tre bambini con disabilità diverse: Alba, Akim e Huang. Per realizzare quest’ultimo lavoro, Trapanese si è avvalso della scrittura raffinata di Patrizia Rinaldi e del contributo grafico dell’artista Francesca Assirelli. Il titolo dice tutto: “Vi stupiremo con difetti speciali”.
La perfezione non esiste, è il messaggio che Trapanese vuole lanciare. E nel cuore di ogni uomo c’è posto per tutti. Lo dimostrano le storie di don Gino e di Luca. Sono oltre trentamila i ragazzi di strada salvati, nel tempo, da don Rigoldi. All’età di 82 anni questo prete di frontiera continua a pensare ai suoi figli, ma anche a quelli degli altri. È stato lui, in occasione del primo lockdown, a fare il giro dei quartieri disagiati di Milano per dare un computer ad ogni studente in difficoltà economiche. E non intende andare in pensione! Se non sono padri questi…